mercoledì 2 aprile 2008

TAMA CESARE PAVESE

La storia del romanzo “Paesi Tuoi” di Cesare Pavese si svolge tutta nell’arco di pochi giorni, quasi come se l’autore voglia far trasparire l’aspetto effimero e poco duraturo della vita; Berto, narratore e protagonista, decide di seguire, suo malgrado e senza spiegarsene neppure lui le ragioni, Talino, suo compagno di cella prima e di viaggio, nonché di vita poi.
In campagna Berto viene a conoscenza del reato commesso da Talino: l'uomo ha incendiato la cascina di un rivale che aveva corteggiato la sorella di cui egli stesso è stato un amante incestuoso; il protagonista, innamoratosi di Gisella, scopre le violenze del fratello, e di cui la ragazza porta segni indelebili.
Un eccesso di gelosia, spinge Talino all'orrendo omicidio della sorella: le infila un tridente nel collo, facendola morire dissanguata e Berto, sconvolto, decide di andarsene di fronte alla bestialità di un mondo che lo sbigottisce.
Come dice Italo Calvino il confronto tra l'operaio Berto e il contadino Talino mette in scena il conflitto esistente in Pavese tra mondo cittadino e quello contadino: Berto rappresenta il mondo urbanizzato, l'individuo i cui bisogni non vanno aldilà delle donne, delle sigarette e del biliardo, che si trova a confrontarsi con un mondo distante, fatto di fatiche e furori campagnoli, nel quale non può trovare integrazione; è messa in scena tutta la diversità esistente tra il cittadino e la gente del luogo, descritta come rozza e segnata moralmente e fisicamente dal duro lavoro contadino.
Durante il viaggio significativa è l’immagine della collina-mammella che impressiona molto Berto; questa è un’ immagine molto ricorrente, che rimanda ad una natura fortemente “umanizzata”, in forma un po’ ossessiva e che allude all’ attrazione sessuale come atto oscuro.
Anche Gisella è identificata dalle sue mele ed il finale tragico è rappresentato dall’acqua che sa di ciliegia e si tinge del colore rosso del sangue della sorella di Talino.
In tutto il racconto c’è come un velo di tristezza, oltre che a un’incapacità, o meglio una non voglia, a migliorare le cose; sembra quasi che la vita sia subita e non vissuta ed i protagonisti si lasciano trasportare così, anche davanti a un fatto così tragico come l’ omicidio di una ragazza per mano del fratello, i sentimenti sembrano non esistere, proprio come non sono esistiti quando tutti sapevano degli abusi incestuosi di Talino su Gisella.
Questa mancanza di “positività” traspare anche nel rapporto con il lavoro che è descritto principalmente come insoddisfazione morale prima che economica; di fronte all’incapacità di vivere fino in fondo le cose, a Berto non resta che pensare:”Così impari a venire in campagna:il tuo posto è a Torino!”

lunedì 17 marzo 2008

Tema Argomentativo

Eutanasia ed aborto: rimedi giusti o sbagliati?

Eutanasia ed aborto...Rimedi giusti o sbagliati? Recentemente hanno suscitato grande interesse nell’opinione pubblica i temi dell’aborto e dell’eutanasia. Per definizione la parola “aborto “, dal latino “aborriri”, perire, nascere prima del tempo è l’interruzione prematura di una gravidanza, la quale può avvenire sia per cause naturali, si parla di “aborto spontaneo”, sia per cause artificiali, “aborto provocato”; l’eutanasia invece, dal greco EU-, bella, e THANATOS, morte, è la rapida conclusione di un processo patologico a prognosi infausta e accompagnato da sofferenze ritenute intollerabili, ed è attuata con i mezzi che servono a procurare la morte in modo in modo completamente indolore. Per quanto riguarda l’aborto Giuliano Ferrara, direttore del quotidiano “Il Foglio”, lo scorso 14 gennaio ha tenuto un discorso presso il teatro milanese “Dal Verme”, nel quale ha invitato a riflettere e con l’intento di sensibilizzare l’opinione pubblica, lanciando una moratoria sull’attuale legga 194; Ferrara sostiene che l’aborto sia un omicidio perfetto e la proposta della moratoria ha il merito, oltre quello di chiamare le cose con il loro nome, di risvegliare le coscienze per una difesa della vita in senso integrale. La legge 194, nata su voto referendario e approvata il 22 maggio 1978 dalla corte costituzionale, consente l’interruzione di una gravidanza entro i primi novanta giorni di gestazione; è una legge che afferma di tutelare la vita, ma tollera con un’ampia discrezione di scelte da parte delle donne, senza alcuna possibilità di contrasto da parte di chi voglia impedire l’ uccisione del concepito. In Italia, in un lasso di tempo di trent’anni, ci sono stati più di quattro milioni di aborti: un dato altamente allarmante. Come una miccia che innesca una bomba, così la moratoria di Ferrara ha acceso numerose polemiche in campo politico, soprattutto da parte dei Radicali, che lo accusano di disonestà intellettuale fuorviante per quanto riguarda altri problemi che attanagliano il paese, quali l’approvazione di una legge per una morte dignitosa, per la ricerca scientifica, per il divorzio breve ( Emma Bonino, lancio ApCom, 13 febbraio 2008). La questione dell’eutanasia si è invece posta alla ribalta con il “caso Welby”, storia amaramente conclusa; Piergiorgio Welby, inchiodato ad un letto e ad una vita mantenuta meccanicamente, dopo aver più volte sollecitato l’ “autorizzazione” a porre fine alla sua esistenza, non essendoci in Italia una legge in materia, si è spento per propria volontà. Per quanto attiene l’eutanasia sembra difficile formulare una legge: nelle situazioni concrete intervengono molti fattori che rendono ogni caso unico; da un’inchiesta fatta in Olanda, dove l’eutanasia è legale, nel 2005 risulta che la maggior parte di coloro che invocano questo rimedio sono per lo più persone depresse : allora c’è da chiedersi se la domanda sia provocata dalla sofferenza o piuttosto dall’abbandono nella sofferenza. Infatti il Signor Welby chiede di essere aiutato a morire, mentre ci sono molte altre persone che chiedono di essere aiutate a vivere, nonostante siano nelle medesime condizioni di Piergiorgio, poiché credono che nella storia e nella lista dei diritti dell’uomo non c’è anche quello di decidere la propria morte. Per ambedue i casi, aborto ed eutanasia, si può affermare che sono permeati da un comune senso di misurazione della vita: devono sussistere certi “standard”, sennò la vita non vale la pena di essere vissuta; così un vecchio malato, malato o disabile è “inutile” o un bambino non programmato, solo uno “spiacevole imprevisto”. Siamo di fronte a due problemi culturali che, a parte la chiesa e una schiera di pochissimi , nessuno sembra prendere in considerazione in quanto valori e importanti punti della vita di una persona , di un essere umano.Dovrebbe essere impegno primario quello di aiutare la vita e liberarla da ogni minaccia di morte: il grido di Ferrara deve aiutarci a riflettere e di fronte ad un rifiuto della vita, qualsiasi esso sia e ci si deve ribellare con uno stile di pensiero solidale con la vita stessa e con l’impegno dell’aiuto.